La diocesi di Rieti è tra le prime ad aver istitutito un tribunale diocesano seguendo la riforma voluta da papa Francesco con il motu proprio “Mitis Iudex”. Un modo per essere più vicini alle persone alla ricerca di pace interiore e di un nuovo percorso di vita
Con il motu proprio Mitis Iudex, entrato in vigore il 15 agosto 2015, papa Francesco ha inteso promuovere una riforma dei processi di nullità matrimoniale che va nella direzione di un decentramento delle competenze. Per questo motivo il vescovo Domenico ha costituito a Rieti, con un decreto emesso il 13 marzo 2016, il tribunale diocesano con sede presso gli uffici di Palazzo Papale.
«Siamo tra le prime diocesi ad averlo istituito e in generale sono molto pochi in Italia i vescovi che hanno scelto di accogliere la riforma del Papa istituendo un proprio tribunale», spiega don Filippo Di Fraia, originario di Montorio Romano, dal giugno 2018 vicario giudiziale aggiunto del tribunale ecclesiastico di Rieti.
Come funziona il tribunale per le cause di nullità
«Il motu proprio ha sovvertito le cose, poiché fino al quel momento Pio XI aveva riservato per le materie matrimoniali l’esclusiva trattazione nei tribunali regionali. Oggi invece le diocesi hanno possibilità di scelta autonoma». Un ruolo delicato e complesso quello di don Filippo: «Il mio ruolo di vicario giudiziale consiste nel ricevere le cause, prepararle per poi istruirle e consegnarle ai giudici che fanno parte del collegio. Si tratta di ricevere il cosiddetto libello, una sorta di domanda che fa l’utente perché si faccia giustizia sulla sua condizione. Una volta ricevuto il libello il vicario appura che ci sia una motivazione alla base della richiesta fatta, nel caso si procede con gli atti e tutte le trafile burocratiche. Al momento in cui tutte le parti in causa sono state rese edotte si inizia con la formulazione del dubbio e dunque parte tutto l’iter processuale fino a giungere a una decisione collegiale dei tre giudici».
Un tribunale al quale si rivolgono le coppie, ma anche i singoli, nel caso si senta la forte necessità di annullare un vincolo matrimoniale per motivazioni che possono essere le più diverse: «può essere un coniuge a richiedere l’annullamento, oppure se ricorrono i criteri per il processo breve, sono entrambe le parti a richiederlo».
I casi e i tempi
I tempi necessari variano inevitabilmente da caso a caso: «tutto cambia in base alla collaborazione o meno di entrambe le parti, oppure a quella dei testimoni. E poi dalle motivazioni e da molti altri criteri di valutazione, in linea di massima in un anno o anche meno di giunge ad un verdetto».
Tra i casi più frequenti, la richiesta di scioglimento del vincolo del sacramento del matrimonio dopo avere percorso tutti i gradi di giudizio civile: «abbiamo a che fare con persone che arrivano da un vissuto forte, spesso un divorzio difficile, o un processo di separazione travagliato. Sono quasi sempre persone ferite, addolorate, comunque con un atteggiamento vulnerabile e particolare».
Un percorso di fede
Spesso, ci si vuole riappropriare di un proprio percorso di fede oppure trovare pace interiore in un nuovo percorso di vita: «Sta all’intelligenza dei componenti del tribunale appurare le motivazioni più profonde che spingono una persona ad inoltrare richiesta: non basta certamente volere mettere la parola fine ad un legame precedente solamente per potersi unire in matrimonio con un nuovo partner. Alla base deve invece esserci una motivazione di fede, tipo ad esempio la forte volontà nel voler ricevere nuovamente i sacramenti, oppure la frustrazione per sentirsi escluso dalla comunità cristiana. Il nostro lavoro non consiste certamente in una mera questione giudiziaria, ma anche in una questione pastorale, e l’approccio alle questioni deve quindi necessariamente essere pastorale».
Tante le casistiche, tante le storie di vita che si intrecciano nella stanza in cui don Filippo lavora quotidianamente: «tra i casi accaduti di recente, un processo breve riguardante un caso in cui ambedue i coniugi avevano escluso in partenza l’indissolubilità del matrimonio e dunque anche il dono dei figli, come testimoniato ampiamente da amici e parenti. Dunque, in base al canone numero 1101 del Codice di Diritto Canonico, se si esclude una di queste due condizioni il matrimonio di fatto non esiste. In breve, fin dall’inizio si nega l’essenza stessa del sacramento ponendo subito le condizoni perchè il vincolo risulti nullo».
Naturalmente, prosegue don Filippo, «può accadere che il libello venga rigettato in partenza poichè non presenta il fumus boni iuris, ovvero l’esistenza di sufficienti presupposti per procedere, oppure può anche accadere che in giudizio non venga annullato il vincolo, ad esempio se dopo avere ascoltato le parti non si ritrovano elementi necessari per suffragare la tesi presentata».
La Chiesa è vicina alle persone separate
Situazioni complicate, storie pesanti, ferite mai del tutto rimarginate: «spesso si ha a che fare con gente che piange, che porta i segni di cicatrici non ancora sanate e che dunque ancora fanno male: per questo è necessario comprendere, a volte consolare, e non è semplice. Una volta ottenuto l’annullamento però si vedono anche sorrisi, sospiri di sollievo per essersi riappropriati di una parte della propria vita dopo aver tentato tutte le vie di conciliazione».
Don Filippo si sofferma in un discorso più ampio, illustrando il modo in cui la Chiesa oggi si fa vicina alle persone separate: Viviamo un momento storico particolare, si cerca di riavvicinare queste persone ferite alla comunità cristiana: la Chiesa si avvicina a loro attraverso percorsi particolari e personali. Nessuno è abbandonato a se stesso, si cerca di essere sempre accanto alle persone nella maniera più appropriata.